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Ocratossina A
Ocratossina A | |
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Nome IUPAC | |
([(3R)-5-cloro-8-idrossi-3-metil-1-oxo-7-isocromanil]carbonil)-3-fenil-L-alanina | |
Nomi alternativi | |
Ocratossina A | |
Caratteristiche generali | |
Formula bruta o molecolare | C20H18ClNO6 |
Peso formula (u) | 403,8 |
Aspetto | solido bianco |
Numero CAS | 303-47-9 |
Numero EINECS | 206-143-7 |
PubChem | 442530 |
SMILES |
CC1CC2=C(C=C(C(=C2C(=O)O1)O)C(=O)NC(CC3=CC=CC=C3)C(=O)O)Cl |
Proprietà chimico-fisiche | |
Densità (g/cm3, in c.s.) | 1,4 circa |
Solubilità in acqua | -- |
Temperatura di fusione | -- |
Indicazioni di sicurezza | |
Simboli di rischio chimico | |
Frasi H | 300 - 351 - 413 |
Consigli P | 264 - 281 - 301+310 |
L'ocratossina A è una micotossina, prodotta da specie dei generi Aspergillus e Penicillium, quali A. ochraceus e P. viridicatum.
Si ritrova principalmente nei cereali, nel caffè, nella frutta secca e nel vino.
Indice
Specifiche tossiche
L'ocratossina A (OTA) ha un'attività essenzialmente nefrotossica. Le intossicazioni principali causate dall'ocratossina A negli allevamenti zootecnici sono la nefropatia dei suini, segnalata nei Paesi del nord-Europa e nei Balcani, e la nefropatia aviaria, diffusa invece nell'America del Nord, entrambe associate al consumo di cereali contaminati da ocratossina A. In dosi diverse può risultare anche immunotossica, cancerogena e genotossica e ad alte concentrazioni può causare comparsa di epatiti, enteriti e necrosi del tessuto linfatico. L'ocratossina A inibisce anche la sintesi proteica, soprattutto nelle cellule renali, con effetti immunosoppressivi.
L'ocratossina A è un accertato cancerogeno per gli animali, ma non esistono dati sufficienti per dimostrarne la cancerogenicità per l'uomo. Inoltre si accumula nei tessuti, rendendo tossiche e carcinogene anche le carni di animali che si siano nutriti di cibi contaminati. Alcuni studi indicano che viene assorbita principalmente nello stomaco, e poi del digiuno, il tratto di intestino tra ileo e duodeno.
L'ocratossina A può provocare danni all'intero organismo, essendo capace di legarsi alle siero-albumine del sangue: tale interazione è responsabile della diffusione sistemica della tossina.
L'ocratossina è un composto particolarmente stabile, in grado di resistere alle condizioni più estreme: si ritrova nel caffè anche dopo la tostatura ed è in grado di resistere a lungo ai normali processi metabolici. Solo i ruminanti sono in grado di degradarla rapidamente ad ocratossina alpha, un derivato molto meno tossico, privo del gruppo fenilalaninico, grazie all'azione della loro flora batterica. Proprio il gruppo fenilalaninico infatti è responsabile di molti effetti tossici, poiché consente alla tossina di sostituirsi all'amminoacido in molti processi metabolici e di biosintesi.
In molti paesi e nell'Unione europea esistono limiti rigidi al contenuto in ocratossina A di cibi e mangimi, mentre la sostanza non è regolamentata negli USA.
Biocontrollo
Studi recenti puntano alla selezione di microrganismi capaci di controllare la crescita e il metabolismo secondario dei ceppi di A. carbonarius e A. niger sulle piante, causando una forte riduzione nella produzione della tossina e della sua presenza negli alimenti..
Bibliografia
- (EN) Roth, A. et al., "Evidence for an enterohepatic circulation of ochratoxin A in mice.", 1988, Toxicology, n. 48, pp. 293–308.
- (EN) Verrone, R. et al., "Effect of β-cyclodextrin on spectroscopic properties of ochratoxin A in aqueous solution", 2007, J. Incl. Phen. and Macrocyc. Chem., n. 57, pp. 475–479.
- (EN) Ringot, D. et al., "Toxicokinetics and toxicodynamics of ochratoxin A, an update", 2006, Chemico-Biological Interactions, n. 159, pp. 18–46.
Voci correlate
Altri progetti
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Collegamenti esterni
- Informazioni di base, su chiriottieditori.it. URL consultato il 12 gennaio 2006 (archiviato dall'url originale il 12 gennaio 2006).
- (EN) Informazioni avanzate sulle ocratossine, su inchem.org.
- (EN) Database NTP (PDF), su ntp.niehs.nih.gov.
- (EN) Studio dell'Università di Würzburg, su uni-wuerzburg.de. URL consultato il 12 gennaio 2006 (archiviato dall'url originale il 24 dicembre 2005).
- (EN) Studio dell'Università di Berkeley, su potency.berkeley.edu.