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Levotiroxina
Levotiroxina | |
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Caratteristiche generali | |
Formula bruta o molecolare | C15H11I4NO4 |
Massa molecolare (u) | 776.87 |
Numero CAS | 51-48-9 |
Numero EINECS | 200-101-1 |
PubChem | 5819 |
DrugBank | DB00451 |
SMILES |
C1=C(C=C(C(=C1I)OC2=CC(=C(C(=C2)I)O)I)I)CC(C(=O)O)N |
Indicazioni di sicurezza | |
Frasi H | --- |
Consigli P | --- |
La levotiroxina è l'isomero levogiro della tiroxina (T4), ormone contenente iodio incorporato in una glicoproteina (tireoglobulina).
Indicazioni
La terapia ormonale tiroidea con levotiroxina ha da molti anni due indicazioni, rappresentate dal trattamento di tutti gli stati di ipotiroidismo e dalla terapia TSH-soppressiva del gozzo nodulare non tossico. Se la validità della prima indicazione è fortemente condivisa nell'ambito della comunità endocrinologica, la seconda terapia è fonte di robuste controversie tra gli esperti del settore. L'indicazione al trattamento, come in tutte le patologie, dovrebbe nascere dalla associazione della condizione morbosa con alterazioni fisiopatologiche e sintomi clinici peculiari e dalla possibilità di correggerli con il trattamento, senza incorrere in rischi che superino i benefici della terapia.
Nel caso del gozzo multinodulare non tossico può essere utilizzata una terapia TSH-soppressiva (o meglio semi-soppressiva) con levotiroxina per sopprimere la secrezione ipofisaria di TSH ed eliminare uno dei fattori in gioco nella crescita dei follicoli tiroidei. Tuttavia, questa scelta terapeutica è controversa in quanto sono stati pubblicati negli anni passati diversi studi discordanti sull'argomento. La terapia TSH-soppressiva con L-tiroxina determina inoltre un quadro di ipertiroidismo subclinico e può comportare, pertanto, effetti collaterali a carico dell'apparato cardiovascolare e di quello scheletrico. Sulla base di queste argomentazioni la terapia TSH soppressiva può essere considerata in casi selezionati (soggetti di età inferiore a 50 anni, affetti da malattia nodulare tiroidea benigna), non può essere protratta in caso di effetti collaterali e va interrotta negli uomini al di sopra dei 60 anni e nelle donne in post-menopausa, per l'aumentato rischio cardiovascolare e di osteoporosi. L'obiettivo terapeutico è rappresentato dalla semisoppressione del TSH a valori compresi tra 0,1 e 0,5 uUI/mL, mantenendo valori di FT3 e FT4 nel range fisiologico.
Nel caso dell'ipotiroidismo, invece, va fatta distinzione tra l'ipotiroidismo subclinico e l'ipotiroidismo clinico. La grande maggioranza degli ipotiroidismi riscontrati è rappresentata da forme sub-cliniche, cioè pauci-sintomatiche e caratterizzate biochimicamente dalla sola elevazione del TSH. Solo una minoranza degli ipotiroidismi riscontrati risulta invece clinicamente significativa, caratterizzata dalla elevazione del TSH e dalla riduzione di FT3 e FT4.
Per quanto riguarda il trattamento dell'ipotiroidismo sub-clinico purtroppo, ancora oggi le nostre conoscenze in questo ambito sono confuse e non conclusive. Sia le forme più significative di ipotiroidismo sub-clinico (TSH > di 10 µU/ml) che quelle meno severe (TSH tra 4,5 e 10 µU/ml), appaiono spesso pauci- o del tutto asintomatiche., Allo stato attuale, è piuttosto debole l'evidenza di una associazione di queste condizioni con eventi avversi cardio-vascolari, con un'elevazione del colesterolo totale e di quello LDL e con disfunzioni cardiache e risultano inconsistenti i dati e le misurazioni dei possibili benefici, apportati su questi parametri, dall'inizio di una terapia sostitutiva. Uno studio, il Rotterdam Study, è però in controtendenza e supporta la forte associazione tra ipotiroidismo sub-clinico e rischio cardio-vascolare, identificando la condizione di ipotiroidismo sub-clinico come un fattore di rischio cardio-vascolare indipendente, al pari dell'ipercolesterolemia, dell'ipertensione arteriosa, del fumo di sigaretta e del diabete mellito, nelle donne con meno di 60 anni. Certa è infine l'associazione tra ipotiroidismo sub-clinico e rischio di progressione verso un ipotiroidismo franco, soprattutto in presenza di una tireopatia autoimmune.,
In conclusione l'ipotiroidismo sub-clinico è una condizione morbosa in cui manca una prova di medicina basata sull'evidenza (MBE) relativa al beneficio della terapia sostitutiva. Tuttavia, non vi è neanche una prova di MBE sull'assenza di un suo beneficio. Ci troviamo dunque di fronte ad una situazione clinica frequente, ma non ben definita, in cui è difficile applicare una strategia aderente ai criteri di MBE. Considerando comunque i bassi rischi della terapia sostitutiva, qualora prescritta da endocrinologi esperti in pazienti complianti, e il suo sicuro beneficio nel ridurre la possibilità di una progressione della malattia verso l'ipotiroidismo sintomatico, l'opinione degli esperti è al momento attuale la seguente
- Pazienti con TSH > 10 uU/ml = Consenso unanime al trattamento
- Pazienti con TSH tra 4,5 e 10 uU/ml = Forma lieve di ipotiroidismo che secondo la maggioranza deve essere trattata.
Avvertenze
Somministrare la levotiroxina per via orale preferenzialmente al mattino, a stomaco vuoto, per minimizzare gli effetti dell'assorbimento irregolare. L'assorbimento della levotiroxina è influenzato da alcuni cibi (alimenti contenenti fibre alimentari, caffè), malattie (celiachia, sindrome dell'intestino irritabile, intolleranza al lattosio, infezioni da Helicobacter Pylori, gastriti), farmaci (sequestranti degli acidi biliari, solfato ferroso, sucralfato, calcio carbonato, antiacidi contenenti alluminio, raloxifene ed inibitori di pompa protonica). Individualizzare il dosaggio a seconda della risposta terapeutica e dei valori dei parametri tiroidei.
Nelle donne, la terapia con levotiroxina a lungo termine è stata associata ad una diminuita densità ossea, in particolare nelle donne in post-menopausa che ricevono dosi soppressive del farmaco; si raccomanda perciò, di assumere la minima dose necessaria ad ottenere la risposta desiderata.Non sono invece stati riscontrati effetti negativi sulle ossa in un piccolo gruppo di adolescenti (n=21) trattate per 1 anno con levotiroxina.
È probabile che i pazienti maggiormente a rischio di sviluppare osteoporosi indotta dalla terapia con tiroxina siano quelli il cui ipotiroidismo deriva da un trattamento dell'ipertiroidismo che potrebbe aver già ridotto la massa ossea. L'ipertiroidismo infatti influenza il metabolismo osseo in quanto determina una sorta di “disaccoppiamento“ fra attività osteoblastica (formazione di tessuto osseo) e osteoclastica (riassorbimento di tessuto osseo): il ciclo di rimodellamento del tessuto osseo si accorcia per riduzione del processo di osteoformazione. L'aumento del riassorbimento osseo indotto dall'iperattività tiroidea provoca ipercalcemia che a sua volta riduce i livelli sierici di ormone paratiroideo. Come conseguenza dell'aumento dei livelli di calcio nel sangue, si verifica ipercalciuria (incremento del calcio nelle urine) e iperfosfatemia (aumento dello ione fosfato nel sangue), quest'ultima dovuta all'aumento del turnover osseo e al maggior riassorbimento renale dei fosfati, secondario alla soppressione dell'ormone paratiroideo. Nei pazienti affetti da ipertiroidismo è stata osservata una riduzione della densità minerale ossea (BMD) di circa il 12-20%. In uno studio caso-controllo su 148 donne, la tiroxina non è risultata essere un fattore di rischio significativo per la perdita di BMD, ma è emerso un aumentato rischio di perdita ossea nelle donne in postmenopausa (ma non in premenopausa) con una storia precedente di tireotossicosi trattata con radioiodio. Anche l'ormone stimolante la tiroide, il TSH, sembrerebbe avere un effetto diretto sul metabolismo osseo: in caso di disfunzione tiroidea subclinica, la BMD femorale o risultata significativamente ridotta sia nelle pazienti con ipertiroidismo sia con ipotiroidismo subclinico vs pazienti eutiroidee (p<0,001)
La levotiroxina deve essere somministrata con cautela ed in modo graduale in pazienti nei quali è nota l'esistenza di una cardiopatia ischemica. In questi pazienti il cuore è molto sensibile ai livelli circolanti di T4 e nel caso si sviluppino crisi anginose o aritmie cardiache è essenziale ridurre immediatamente il dosaggio della levotiroxina. In particolare, in presenza di tireotossicosi il problema cardiaco di più comune riscontro è lo sviluppo di aritmie ipercinetiche, quali tachicardia o fibrillazione atriale parossistica. Generalmente in questi casi è sufficiente omettere l'assunzione di levotiroxina per qualche giorno e quindi riprendere la terapia ad un dosaggio inferiore. In questi pazienti, come sopra ricordato, la terapia va, quindi, condotta in modo piuttosto prudente, iniziando con un dosaggio di 12,5-25 µg al dì, con incrementi di 12,5-25 µg ogni 6-8 settimane fino a raggiungere il dosaggio desiderato.
Prima di iniziare la terapia sostitutiva con levotiroxina andrebbe indagata, ed eventualmente corretta, la possibilità di una concomitante condizione di ipocorticosurrenalismo primitivo (ad esempio da adrenalite autoimmune) o secondario ad un ipopituitarismo. La tiroxina induce, infatti, un aumento di attività della 11-β-idrossisteroido-deidrogenasi di tipo II, preposta alla conversione del cortisolo nel suo metabolita meno attivo cortisone e, aumentando bruscamente la richiesta di cortisolo, potrebbe svelare uno stato di insufficienza corticosurrenalica latente.
Una concomitante terapia a base di amiodarone è da monitorare, a causa dell'alto contenuto di iodio,(ogni compressa da 200 mg di amiodarone, un farmaco ampiamente usato in cardiologia per il trattamento a lungo termine di alcune aritmie cardiache, contiene 75 mg di iodio)
La terapia con levotiroxina non dovrebbe essere interrotta in caso di gravidanza. Nelle donne con ipotiroidismo sintomatico, la terapia con levotiroxina serve per mantenere in un range di normalità i livelli di TSH, che altrimenti risulterebbero troppo elevati. Poiché durante la gravidanza il fabbisogno di levotiroxina può variare, si raccomanda di aumentare la frequenza dei controlli dei livelli sierici dell'ormone tiroideo e, in caso di necessità, di adeguarne il dosaggio.
In uno studio clinico la richiesta di levotiroxina è aumentata mediamente del 47% durante i primi 4-5 mesi di gravidanza (inizio medio dell'aumento del dosaggio: 8 settimane di gestazione), per poi stabilizzarsi. L'incremento si è mantenuto fino al termine della gravidanza. Poiché per lo sviluppo cognitivo del feto è importante che la madre mantenga entro l'intervallo di normalità i livelli sierici degli ormoni tiroidei (eutiroidismo), alcuni autori propongono un aumento medio di circa il 30% della dose di levotiroxina per le pazienti che iniziano una gravidanza indipendentemente dalla causa dell'ipotiroidismo materno secondo altri autori, invece, il momento e l'entità dell'aggiustamento della dose degli ormoni tiroidei in gravidanza dipende dal tipo di ipotiroidismo.
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