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Sindrome post-COVID-19

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Le percentuali di pazienti (fino a luglio 2020) con sintomi correlati alla malattia coronavirus 2019 (COVID-19) durante la fase acuta della malattia (in blu) e al momento della visita di follow-up (in rosso)
Effetti a lungo termine della malattia da coronavirus 2019 (COVID-19).

I postumi della COVID-19 a lungo termine o sindrome post-COVID-19 o long COVID (in inglese) sono gli esiti che la COVID-19, in quanto malattia multiorgano, può avere con effetti duraturi su molti apparati del corpo umano.

I pazienti in condizioni critiche devono affrontare una compromissione funzionale prolungata dopo la dimissione, che si ritiene possa durare diversi anni. In molti pazienti vengono descritte sequele a lungo termine della malattia: una percentuale variabile dal 10% al 20% delle persone con COVID-19 segnala sintomi come affaticamento, mal di testa, dispnea e anosmia, che durano più di un mese mentre su una persona su quarantacinque (2,2%) persistono sintomi che durano più di dodici settimane.

I malati vengono spesso definiti in inglese "long-haulers" ("portatori a lungo termine").

Il National Institute for Health Research del Regno Unito indica che nei soggetti affetti da sindrome post-COVID-19 la ME/CFS è una delle sindromi frequenti, analogamente a quanto dichiarato dal Prof. Anthony Fauci a partire già da luglio 2020. Ci sono evidenze che le persone con COVID-19 acuto e con ME/CFS abbiano anomalie biologiche comuni tra cui squilibrio redox, infiammazione sistemica e neuroinfiammazione, una ridotta capacità di generare adenosina trifosfato e uno stato ipometabolico generale.

I sistemi sanitari di alcuni paesi si sono attivati per trattare questo gruppo di pazienti creando cliniche specializzate.

Storia ed epidemiologia

(EN)

«It’s a crafty illness, and it’s a doubting illness because, it makes you doubt yourself and it makes people doubt you. My symptoms started in February but when you think you’re over it then you start to get a bitter taste, then a few days later the fatigue comes back.»

(IT)

«È una malattia astuta, ed è una malattia dubbiosa perché ti fa dubitare di te stesso e fa dubitare di te. I miei sintomi sono iniziati a febbraio ma quando pensi di averlo superato inizi ad avere un sapore amaro, poi pochi giorni dopo la stanchezza torna.»

(Lee)
Mappa mondiale dei casi totali confermati di COVID-19 per milione di persone

Fin dalle prime segnalazioni della malattia nel dicembre 2019 divenne chiaro che la COVID-19 si potesse rivelare come una malattia a lungo termine (con sequele croniche) per molte persone: ciò si è visto sia in pazienti che hanno avuto un'infezione iniziale lieve o moderata sia in coloro che sono stati ricoverati in ospedale per un'infezione grave.

Percentuali cumulate dei sintomi e delle condizioni nella COVID-19

Il termine Long Covid è stato utilizzato per la prima volta nel maggio 2020 come hashtag su Twitter da Elisa Perego (Honorary Research Associate allo University College).

I primi studi sull'argomento suggeriscono che una percentuale molto alta di persone con COVID-19 sperimenteranno sintomi che durano più di un mese.

Eziologia

Piramide della gravità dei casi diagnosticati di COVID-19 in Cina

La maggioranza (fino all'80%) di coloro che sono stati ricoverati in ospedale con una malattia grave ha problemi a lungo termine tra cui affaticamento e dispnea. I pazienti con infezione iniziale grave, in particolare quelli che hanno richiesto la ventilazione artificiale, possono anche soffrire di una sindrome da terapia intensiva post-guarigione.

Una prima analisi del National Institute for Health Research del Regno Unito suggerisce che i sintomi di una sindrome post-COVID-19 possano essere dovuti a quattro sindromi:

Fattori di rischio

Secondo uno studio del King's College London riportato il 21 ottobre 2020 (ma al 25 ottobre 2020 non ancora sottoposto a peer review) i fattori di rischio per la sindrome post-COVID-19 possono includere:

  • Età superiore ai 50 anni
  • Sesso femminile (nella fascia di età più giovane)
  • obesità
  • asma
  • Avere più di cinque sintomi nella prima settimana di infezione da COVID-19 (come tosse, affaticamento, mal di testa, diarrea, perdita dell'olfatto)

Patogenesi

COVID-19 e apparati colpiti

Sta emergendo che molti organi oltre ai polmoni sono interessati dalla COVID-19 e ci sono molti modi con cui può influire sulla salute di chi ne è colpito.

Vi è inoltre, una estrema variabilità dei sintomi, i pazienti lamentano di trovarsi con i propri sintomi che fluttuano come se si fosse su delle "montagne russe". Si tratta di disturbi fluttuanti transitori, la cui intensità è variabile. Ciò potrebbe essere dovuto alla condizione di un sistema immunitario colpito che risponde un modo differente tra i vari pazienti.

I fattori associati alla mortalità includono il sesso maschile, l'età avanzata e la presenza di comorbilità tra cui ipertensione, diabete mellito, malattie cardiovascolari e malattie cerebrovascolari. Il National Institute for Health Research del Regno Unito suggerisce che nei soggetti affetti da sindrome post-COVID-19 la sindrome da disfunzione multiorgano è una sindrome frequente.

Le lesioni permanenti agli organi sono diverse e poco note, tra esse sono documentate danni ai seguenti organi:

Polmone

Meccanismo ipotetico prodotto dalla tempesta citochinica nei polmoni infetti da SARS-CoV-2

Il SARS-CoV-2 determina prevalentemente una polmonite interstiziale, caratterizzata da un forte processo infiammatorio degli alveoli con conseguente deficit di scambi gassosi. I danni ai polmoni, dispnea e tosse persistono per settimane dopo la dimissione ospedaliera; anche le COVID-19 "lievi" hanno riportato sintomi che persistono per molte settimane o addirittura mesi dopo la scomparsa dell'infezione iniziale.

Secondo uno studio austriaco alla dimissione ospedaliera l'88% dei pazienti mostra segni di danno polmonare nelle scansioni TC, con aree polmonari simili a vetro smerigliato, mentre il 47% dei pazienti soffriva di dispnea; gli stessi pazienti a 12 settimane mostravano ancora segni di dispnea con insufficienza cardiaca e polmonare. Lo studio suggerisce di prevedere strategie di assistenza e recupero funzionale di tipo riabilitatorio di lungo periodo. Più in dettaglio si è visto che la stragrande maggioranza dei pazienti COVID-19 ospedalizzati mostra danni ai polmoni 6 settimane dopo la dimissione, ma questa proporzione diminuisce significativamente dopo 12 settimane, suggerendo che i polmoni hanno un meccanismo di autoriparazione.

La COVID-19 si manifesta a livello polmonare con:

  • Polmonite interstiziale acuta bilaterale. Spesso questa necessita di assistenza ospedaliera con ventilazione meccanica e suoi esiti polmonari possono richiedere mesi per risolversi.
  • Sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), è una potenziale e temibile complicanza della polmonite; essa deriva dalla combinazione tra infezione e risposta infiammatoria. I polmoni si riempiono di liquido rapidamente e diventano rigidi. Questa rigidità, combinata alle gravi difficoltà di ossigenazione a causa del liquido, può richiedere lunghi periodi di ventilazione meccanica per la sopravvivenza.
  • Sepsi è una potenziale e temibile complicanza della polmonite.
  • Infarto del miocardio è una possibile complicanza della polmonite.
  • Embolia polmonare è una possibile complicanza della polmonite.

In ogni caso, quanto più grave è la malattia, tanto più difficile è la completa guarigione; infatti, i casi più lievi hanno meno probabilità di causare cicatrici durature nel tessuto polmonare. Le persone anziane sono anche più vulnerabili per un caso grave di COVID-19 e sono determinanti le condizioni preesistenti, infatti la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) o le malattie cardiache possono determinare casi di COVID-19 più gravi. La guarigione completa e il recupero della salute dei polmoni a lungo termine dipendono dal tipo di cure e dalla tempestività. Infatti il supporto tempestivo in ospedale per i pazienti gravemente malati può ridurre al minimo i danni ai polmoni.

Cuore

Lesioni cardiache da SARS-CoV-2

Uno degli effetti più notevoli sulla salute si riferisce al danno al cuore conseguente all'infezione da virus SARS-CoV-2. Anche i giovani adulti colpiti dalla COVID-19, inclusi gli atleti, possono soffrire di miocardite post-COVID-19, e non solo gli anziani o le persone di mezza età. In genere i danni al cuore sono di lieve entità, ma talvolta possono esitare in grave miocardite. Infatti un carico infiammatorio elevato può indurre infiammazione vascolare, miocardite e aritmie cardiache, nei casi più gravi fatali. Vi è anche un aumento dei livelli di troponina (Tn), segno di un danno alle cellule del tessuto cardiaco, ed è il primo campanello d'allarme dell'infarto del miocardio. Inoltre la risposta infiammatoria determina una cascata di reazioni che portano alla coagulazione del sangue, con conseguenti episodi di trombosi e di embolie polmonari.

I pazienti con un alto livello di troponina hanno mostrato una maggiore incidenza di complicanze come ARDS, aritmie maligne, danno renale acuto e coagulopatia acuta; la compresenza di malattie cardiovascolari e Tn elevato era associata al più alto tasso di mortalità. La presenza di danno cardiaco (definito da livelli elevati di troponina), miocardite e ARDS sono altri fattori forti e indipendenti associati alla mortalità.

Rene

I soggetti dializzati o trapiantati di rene hanno un rischio più alto che la malattia evolva in forma più grave.

Circa un terzo dei pazienti è deceduto a causa di un’insufficienza renale acuta, come è emerso dall'esame autoptico dove si è visto un diffuso aumento della microcoagulazione che giustifica il danno renale.

Altre cause di danno sembrano averlo i recettori ACE2 che potrebbero trasportare il virus anche all'interno del sistema di filtraggio renale. Infine non va escluso un deterioramento determinato dalla tossicità dei farmaci con cui vengono trattati i pazienti affetti da COVID-19.

Sistema nervoso

Potenziali meccanismi per la sensibilizzazione ai nocicettori nella COVID-19 grave.

I pazienti con COVID-19 potrebbero subire degli esiti permanenti sul Sistema nervoso periferico (SNP) dovuti a cambiamenti dell'eccitabilità dei nocicettori che promuovono il dolore, inducendo neuropatie e peggiorando gli stati dolorosi esistenti.

Clinica

(EN)

«What would be most helpful is if all main hospitals could have a Covid clinic that had experts from respiratory, cardiology, rheumatology, neurology, physiotherapy etc, so you could go along for half a day and see people from these different departments, they can refer you for tests and you can get a plan in place, We are having such a range of symptoms that GPs are struggling to know what to do with you.»

(IT)

«Ciò che sarebbe più utile è se tutti gli ospedali principali potessero avere una clinica Covid con esperti di respirazione, cardiologia, reumatologia, neurologia, fisioterapia ecc., In modo che tu possa andare per mezza giornata e vedere persone di questi diversi dipartimenti, possono indirizzarti per i test e puoi ottenere un piano in atto, stiamo avendo una tale gamma di sintomi che i medici di famiglia stanno lottando per sapere cosa fare con te.»

(Nikki)

Segni e sintomi

Sintomi della COVID-19 in cronico
Sintomi della COVID-19 in acuto

I sintomi riportati da persone con Long Covid includono:

Secondo uno studio, pubblicato su Annals of Clinical and Translational Neurology il 15 marzo 2021, condotto su 100 pazienti non ospedalizzati (70% donne con un'età media di 43 anni); è emerso che i 10 sintomi più persistenti in caso di Long COVID sono stati:

  • Disfunzione cognitiva, segnalata nell'81% dei casi
  • Mal di testa, 68%
  • Intorpidimento o formicolio, 60%
  • Disturbo del gusto, 59%
  • Disturbo dell'olfatto, 55%
  • Dolore muscolare, 55%
  • Vertigini, 47%
  • Dolore, 43%
  • Visione offuscata, 30%
  • Acufene (ronzio nelle orecchie), 29%

I “long haulers” di Covid-19 non ospedalizzati sperimentano una prevalente e persistente “nebbia cerebrale” con affaticamento che influisce sulla loro cognizione e qualità della vita.

Altri sintomi, non strettamente neurologici, riportati nello studio sono stati:

  • Stanchezza, 85%
  • Depressione o ansia, 47%
  • Mancanza di respiro, 46%
  • Dolore al petto, 37%
  • Insonnia, 33%
  • Variazione della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna, 30%
  • Disturbi gastrointestinali, 29%

La totalità dei soggetti studiati nello studio dichiararono di essersi ripresi dopo 2 mesi nel 95% dei casi, mentre per il 10% ci sono voluti 9 mesi. Secondo altri studiosi, che hanno commentato lo studio, è possibile che:

(EN)

«the idea that the long-haul symptoms might be an autoimmune response, maybe similar to some other post-infection syndromes.»

(IT)

«... l'idea che i sintomi a lungo raggio potrebbero essere una risposta autoimmune, forse simile ad alcune altre sindromi post-infezione.»

(Allison Navis, MD; Icahn School of Medicine at Mount Sinai in New York City)

Sindrome post-COVID-19 e vaccini

Circa tra il 30% e il 50%, dei soggetti con sindrome post-COVID-19 riferisce di sperimentare un miglioramento dei sintomi dopo aver ricevuto l'iniezione di un vaccino a mRNA, ciò secondo una serie di sondaggi informali condotti sui social media. Secondo ricercatori della Columbia University di New York City la spiegazione di ciò può essere trovata nel fatto che il vaccino dia una "spinta" al sistema immunitario ad eliminare il virus ancora circolante nell'organismo.

(EN)

«It is possible that the persisting virus in long COVID-19 may be at a low level — not enough to stimulate a potent immune response to clear the virus, but enough to cause symptoms. - Activating the immune response therefore is therapeutic in directing viral clearance.»

(IT)

«È possibile che il virus nella Long COVID-19 possa permanere con una bassa carica virale, non abbastanza da stimolare una potente risposta immunitaria per eliminare il virus, ma sufficiente da causare sintomi. L'attivazione della risposta immunitaria è quindi terapeutica nel determinare l'eliminazione del virus.»

(Donna Farber, PhD, a professor of microbiology and immunology at Columbia University)

Va anche segnalato, però, che un piccolo numero di persone è risultato positivo alla COVID-19, dopo due settimane o più, dopo essere stato completamente vaccinato, questi casi vengono conosciuti come casi "breakthrough". I vaccini hanno comunque ridotto la gravità della malattia; i casi breakthrough si verificano anche con altri vaccini in altre malattie come l'influenza.

Ricerca

Nell'aprile/maggio 2020, 143 pazienti ricoverati in terapia intensiva sono stati seguiti presso la Fondazione Policlinico Universitario "Agostino Gemelli" IRCCS di Roma. Da una prima analisi dei dati di questa ricerca, tra le prime al mondo, emerge che solamente il 12,6% dei pazienti risulta completamente guarito a sessanta giorni dal primo malessere. Un buon 32% presenta ancora uno o due sintomi legati alla malattia e ben il 55% riferisce tre o più sintomi tipici del virus; inoltre nel 53% dei pazienti persiste la stanchezza, nel 43% la dispnea, nel 27% il dolore articolare e nel 22% persiste la cefalea.

Uno studio del King's College di Londra ha rilevato che circa il 10% dei malati di COVID-19 nel Regno Unito non si è ripreso entro tre settimane e circa 250 000 persone hanno manifestato sintomi per trenta giorni o più.

Il 1º settembre 2020 vennero pubblicati su The Lancet Infectious Diseases i risultati di una ricerca in cui venivano riassunti i più comuni sintomi riferiti da parte di persone in convalescenza da COVID-19 e che avevano sperimentato diversi gradi di gravità durante la fase acuta. In uno studio osservazionale, su cento pazienti in convalescenza/guarigione pubblicato nel luglio 2020, settantotto di questi avevano risultati anormali alla risonanza magnetica cardiovascolare (mediana settantuno giorni dopo la diagnosi) e trentasei di questi hanno manifestato dispnea e stanchezza insolita. Sebbene le sequele a lungo termine della malattia fossero ancora sconosciute, gli autori hanno affermato come fosse necessaria la ricerca sugli aspetti di questi effetti a lungo termine, compresa la previsione di quali pazienti potrebbero subire tali effetti, la gestione della fase acuta che può aiutare a evitare il sintomi nonché le fasi della risposta immunologica in questi pazienti e i possibili determinanti genetici e trattamenti per i sintomi.

Numerosi studi in corso a ottobre 2020 stanno esaminando gli effetti a lungo termine del virus su alcuni individui. È stata riscontrata un'ampia gamma di danni a lungo termine su vari altri organi, compreso il sistema nervoso e forse i reni, il fegato e il tratto gastrointestinale. Sono stati spesso osservati sintomi come diminuzione della funzione polmonare e cardiaca e diminuzione della capacità di esercizio. Inoltre, una serie di sintomi di eziologia ancora sconosciuta, come affaticamento, dolori articolari, "annebbiamento cerebrale" e febbre, hanno portato a confronti con l'encefalomielite mialgica/sindrome da affaticamento cronico (ME/CFS), sebbene distinta da tale diagnosi, che dipende da altri criteri. I medici sperano di trovare cause specifiche per i sintomi sperimentati dai COVID-19 "viaggiatori a lungo raggio", che sono spesso persone giovani, precedentemente in forma e in buona salute, poiché il loro trattamento differirà a seconda dell'eziologia, che potrebbe essere dovuto a un'infezione persistente, anomalie autoimmuni, danni ai polmoni o al cuore, infiammazione o altri motivi.

L'Università di Leicester e gli Ospedali universitari di Leicester NHS Trust hanno intrapreso un importante studio sugli effetti a lungo termine sulla salute di COVID-19 a partire da agosto 2020 denominato Post-Hospitalization COVID-19 (PHOSP-COVID) che mira a seguire 10 000 pazienti per un anno, analizzando vari fattori clinici con esami e analizzando diversi biomarcatori.

Un altro studio simile, su centinaia di persone in due anni, è stato avviato negli Stati Uniti alla fine di luglio 2020.

Politiche sanitarie in risposta

Australia

Nell'ottobre 2020, una guida pubblicata dal Royal Australian College of General Practitioners (RACGP) afferma che i sintomi di infezione post-COVID-19 in corso come affaticamento, mancanza di respiro e dolore toracico richiederanno la gestione da parte dei medici di famiglia, oltre a quelli più gravi condizioni già documentate.

Regno Unito

In Gran Bretagna, il Servizio Sanitario Nazionale (NHS) ha iniziato a creare cliniche specializzate per il trattamento della sindrome post-COVID-19.

Nell'ottobre 2020, il capo dell'National Health Service inglese ha annunciato che l'NHS aveva impegnato 10 milioni di sterline da spendere quell'anno per istituire "cliniche Long Covid" per valutare le condizioni fisiche, cognitive e psicologiche dei pazienti e per fornire cure specialistiche. Sono state annunciate future linee guida cliniche, con ulteriori ricerche pianificate su 10 000 pazienti e una task force designata da istituire, insieme a un servizio di riabilitazione online chiamato Your Covid Recovery.

Bibliografia

Riviste

Linee guida WHO

Linee guida NHS

Testi

Italiano

Inglese

Altri progetti

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