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Infiammazione

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L'infiammazione, o flogosi (pronuncia: /floˈɡɔzi/ o /ˈflɔgozi/), è un meccanismo di difesa non specifico innato, che costituisce una risposta protettiva, seguente all'azione dannosa di agenti fisici, chimici e biologici, il cui obiettivo finale è l'eliminazione della causa iniziale di danno cellulare o tissutale, nonché l'avvio del processo riparativo.

Caratteristiche

L'infiammazione consiste in una sequenza dinamica di fenomeni che si manifestano con una intensa reazione vascolare. Questi fenomeni presentano caratteristiche relativamente costanti, nonostante l'infinita varietà di agenti lesivi, in quanto non sono determinati soltanto dall'agente lesivo, quanto soprattutto dalla liberazione di sostanze endogene: i mediatori chimici della flogosi. È una reazione dell'organismo per lo più locale, pertanto la maggior parte della sua fenomenologia più evidente si svolge, ed è osservabile, nella regione (o nelle regioni) in cui sono localizzati gli agenti eziologici responsabili della sua comparsa. L’infiammazione può variare nelle sue manifestazioni in base alla sede, alla natura dell’agente che l’ha scatenata e all’entità del danno da questo provocato. I fenomeni elementari, che costituiscono la risposta infiammatoria, comprendono vasodilatazione e aumento di permeabilità, che portano al passaggio di liquidi dal letto vascolare al tessuto leso (edema) ed infiltrazione leucocitaria nell'area di lesione. L'infiammazione serve, dunque, a distruggere, diluire e confinare l'agente lesivo, ma allo stesso tempo mette in moto una serie di meccanismi che favoriscono la riparazione o la sostituzione del tessuto danneggiato. Le cause che inducono la risposta infiammatoria sono numerose, tra queste: traumi (meccanici, fisici, chimici); microrganismi (virus, parassiti, batteri ecc..); necrosi tissutale; reazioni autoimmunitarie; tumori maligni.

Clinicamente, i segni cardine dell'infiammazione sono, in questo ordine preciso: calore della parte infiammata, arrossamento, tumefazione, dolore, alterazione funzionale (calor, rubor, tumor, dolor, functio laesa). Sono manifestazioni delle modificazioni tissutali che consistono in: vasodilatazione, aumento della permeabilità dei capillari, stasi circolatoria, infiltrazione leucocitaria (con marginazione, rotolamento e adesione sulla superficie endoteliale di leucociti attraverso l'espressione di molecole di adesione, fase finale di extravasazione leucocitaria attraverso l'endotelio, chemiotassi per risposta dei leucociti presenti nello spazio interstiziale agli agenti chemiotattici, i quali li indirizzano verso la sede del danno). Per valutare le condizioni infiammatorie sono utilizzabili diverse metodologie di campionamento (ad es., la citometria a flusso) e molteplici indici, soprattutto estratti dal sangue. Fra questi, ad esempio, vanno ricordate le citochine, un vasto insieme di proteine prodotte da cellule del sistema immunitario (come macrofagi – compresi quelli all’interno del sistema nervoso centrale, ovvero la microglia – e cellule natural killer) che modulano la risposta infiammatoria fungendo da mezzo di comunicazione per le cellule del sistema immunitario, e la proteina C-reattiva (C-reactive protein o CRP), sintetizzata nel fegato dalle cellule di Kupffer in risposta ad un incremento dello stato pro-infiammatorio. Le citochine possono essere suddivise in vari modi, ma in generale è importante ricordare che alcune stimolano un aumento dell’infiammazione (e sono quindi dette “pro-infiammatorie”), come le interleuchine (IL)-1β e -6, il fattore di necrosi tumorale α (Tumor Necrosis Factor o TNF-α) o l’interferone (IFN-)γ, e altre riducono l’infiammazione e sono quindi chiamate “anti-infiammatorie”, come la IL-10.

Classificazione

L'infiammazione viene classificata secondo un criterio temporale in infiammazione acuta e infiammazione cronica. Quest'ultima può poi essere distinta secondo un criterio spaziale in diffusa (infiammazione cronica interstiziale) oppure circoscritta (infiammazione cronica granulomatosa).

Infiammazione acuta

L'infiammazione acuta è un processo flogistico rapido che coinvolge i tessuti dell'organismo, è caratterizzata da un inizio repentino e violento, al quale segue una rapida (da qualche minuto o qualche ora o qualche giorno) successione di avvenimenti, contraddistinti dalla preponderanza di fenomeni vascolo-ematici, responsabili della comparsa dei caratteristici sintomi cardinali.

L'infiammazione acuta ha inizio con la fase di riconoscimento dell'agente che ha causato la flogosi, attraverso dei recettori posti sulle cellule dell'immunità innata. Tra questi abbiamo i TLR, i quali una volta attivati danno il via ad un programma genetico pro-infiammatorio. Avendo un dominio TIR, questi recettori mediano una cascata di trasduzione pro-infiammatoria che ha come esito finale l'attivazione del complesso NF-κB, che è il principale meccanismo di regolazione trascrizionale alla base di un programma pro-infiammatorio. In questo complesso, ruolo chiave lo hanno le proteine P50 e P65, che abitualmente sono legate ad un inibitore chiamato IκB. Una volta arrivato il segnale, una chinasi fosforila IκB con il conseguente distacco di P50 e P65; IκB verrà degradato da una proteasi, mentre le proteine andranno a migrare verso il nucleo dove si legheranno ai siti di consenso di NF-κB, inducendo l'attivazione di geni che codificano: citochine infiammatorie, chemochine pro-infiammatorie, molecole di adesione e molecole costimolatrici che mediano la risposta immunitaria.

Infiammazione cronica

L'infiammazione cronica è un processo flogistico di lunga durata (mesi o anche anni) in cui coesistono l'infiammazione attiva, la distruzione tissutale e i tentativi di riparazione. Durante la sua evoluzione può conseguire oscillazioni della sua gravità e fenomeni di acutizzazione. Le infiammazioni croniche possono derivare da una persistenza degli antigeni flogogeni in seguito ad un'infiammazione acuta non completamente risolta; è possibile che tali agenti non siano raggiungibili da parte dei sistemi di difesa, oppure che le sostanze litiche non siano in grado di digerirli. L'indice di cronicità dell'infiammazione è dato dalla quantità di tessuto di granulazione che è stato formato dai fibroblasti e dal livello della linfocitosi sviluppatasi.

L'infiammazione nei disturbi mentali

Vi è evidenza scientifica del fatto che l'infiammazione cronica colpisca il cervello e vi sia un legame che collega direttamente l'infiammazione alla malattia mentale.

L’infiammazione nei disturbi del neurosviluppo

I Disturbi del Neurosviluppo (DNS) sono un gruppo di condizioni con esordio nel periodo dello sviluppo caratterizzati da deficit che compromettono funzionamento personale, sociale, scolastico o lavorativo. Essi subiscono l’influenza dell’infiammazione quando questa si presenta nelle madri durante lo stato di gravidanza. È stato infatti rilevato un aumento dei rischi di esito negativo dello sviluppo neurologico nei bambini quando si manifesta uno stato infiammatorio nelle donne in questa condizione. Quindi variazioni dell’ambiente immunitario gestazionale incidono sul neurosviluppo del feto. Il rischio di comparsa di DNS nella prole è dato sia dalle infezioni materne TORCH (Toxoplasma gondii, altri, virus della Rosolia, Citomegalovirus e virus dell’Herpes simplex), che possono contagiare il bambino, sia dalle infezioni non trasmissibili (ad es. influenza, infezioni del tratto urinario). In caso di infezione durante la gravidanza, si innesca l’attivazione immunitaria materna (MIA), la quale produce degli effetti sui processi cerebrali del feto che causano la comparsa di disturbi dello sviluppo neurale. Han e colleghi hanno rilevato come un possibile collegamento tra l'infiammazione materna durante gravidanza e la comparsa nei bambini di DNS consista nella via del recettore Toll-like (TLR).

Negli uomini, la disregolazione immunitaria innata innescata da TLR è risultata essere un potenziale percorso comune implicato in diversi stati infiammatori nei soggetti con DNS. Si ipotizza che la disregolazione delle risposte immunitarie innate del TLR dopo la nascita possano derivare da modificazioni epigenetiche della segnalazione del TLR, prodotte dall'esposizione all'infiammazione durante la gravidanza. Invece un’iper-reattività del TLR è stata riscontrata nello spettro autistico (ASD). Nella MIA sono implicati anche altri fattori materni che causano l’infiammazione cronica. Quest’ultima nell'uomo è associata a fattori ambientali a cui l’individuo è esposto riassunti nel termine “esposoma”, che includono dieta malsana, stress psicosociale, sonno scarso, esercizio inadeguato, fumo, inquinamento, basso stato socio-economico e disbiosi microbica. I fattori di rischio infiammatorio cronico materno in gravidanza si associano a DNS nella prole. Negli stati infiammatori cronici la disregolazione del TLR è coinvolta soprattutto nell'obesità sia in adulti non gravidi sia in madri in gravidanza.

Dunque, sembra che l’infiammazione abbia a che fare anche con lo spettro autistico. In particolar modo, essa sembra interagire direttamente o indirettamente con il sistema nervoso centrale (SNC) attraverso i neuroni, il sistema immunitario o il sistema neuroendocrino. Studi clinici hanno identificato profili di citochine anormali nei pazienti con ASD. Un ruolo nel collegamento tra infiammazione e ASD sembra essere svolto dalla CRP, la proteina C-reattiva utilizzata per valutare il grado di infiammazione e il rischio futuro di disturbi psichiatrici. È stata rilevata un’alta concentrazione di CRP periferico in bambini con ASD, confrontati con bambini sani; inoltre Brown e colleghi hanno rilevato un’associazione dell'aumento nel siero della CRP nelle madri con un maggiore rischio di ASD nei figli.

Sembra intercorrere un nesso causale tra i livelli periferici di CRP e la presenza di ASD in quanto questa proteina, entrando nel SNC, influenza l'attivazione della microglia, la quale ha un effetto rilevante sulla neurotrasmissione glutammatergica e sulla maturazione sinaptica nel cervello, che sono processi in parte responsabili dello sviluppo dell'ASD. Tuttavia, la CRP può anche agire come fattore protettivo contro il danno infiammatorio nei pazienti con ASD. Sono necessari ulteriori studi sull’associazione tra infiammazione e Disturbi del neurosviluppo, sul ruolo del TLR e della CPR.

L’infiammazione nello spettro della schizofrenia

La schizofrenia è un disturbo mentale cronico caratterizzato da un’eziologia complessa e in gran parte ancora sconosciuta. Comprende sia fattori congeniti che ambientali e implica alterazioni neurodegenerative del sistema nervoso centrale (SNC), oltre che una significativa compromissione del funzionamento sociale, e comporta un quadro sintomatologico molto grave con la presenza di sintomi positivi (deliri, allucinazioni), negativi (anedonia, ritiro sociale) e affettivi, nonché disfunzioni cognitive (alterazione della memoria di lavoro).

Un numero crescente e convincente di studi indica come l'infiammazione subclinica nel SNC e la disregolazione immunitaria possano avere un ruolo nel meccanismo eziopatologico della schizofrenia. La neuroinfiammazione può portare alla patologia della materia bianca, alla disconnessione tra aree cerebrali e quindi all'insorgenza dei sintomi della schizofrenia.

Le citochine svolgono un ruolo critico nel coordinamento della risposta infiammatoria, in quanto agiscono principalmente sulle cellule immunitarie regolandone la proliferazione e l’attivazione: esistono infatti numerose meta-analisi che dimostrano alterazioni nei livelli di citochine nel sangue dei pazienti schizofrenici rispetto ai controlli sani (HC). In genere, essi tendono a manifestare un'aumentata espressione dell'mRNA dei geni delle citochine nei linfociti rispetto agli HC, e ciò potrebbe derivare da meccanismi epigenetici alla base della relazione tra schizofrenia e stress nella prima infanzia.

Si ipotizza una certa alterazione dell'equilibrio tra citochine pro-infiammatorie, come l'interleuchina-6 (IL-6) o l'IL-1β, e citochine anti-infiammatorie come l'interleuchina 10 (IL-10). Questa ipotesi è supportata dall'effetto protettivo delle citochine Th2 e delle citochine antinfiammatorie, i cui elevati livelli prenatali nel sangue materno possono ridurre il rischio di schizofrenia nella prole. Inoltre, una meta-analisi condotta da Brown e colleghi ha suggerito un'influenza notevole dello squilibrio delle citochine sul rischio di schizofrenia nella prole durante le prime fasi della gravidanza. Livelli elevati di citochine proinfiammatorie possono causare l'iperattivazione di astrociti e microglia e la stimolazione presinaptica dei recettori dopaminergici nel mesencefalo. Le citochine proinfiammatorie sono anche note per influenzare la regolazione della via della chinurenina e disturbare la trasmissione glutammatergica.

Considerata una delle principali citochine pro-infiammatorie, l'interleuchina-1β (IL-1β) è secreta principalmente da monociti, macrofagi, microglia e linfociti in risposta al lipopolisaccaride (LPS), ad altre citochine e a frammenti di complemento. È noto che attivi l'espressione di numerosi geni e aumenti la secrezione di adrenocorticotropina (ACTH), mentre è stato riferito che le variazioni dei suoi livelli disturbano la migrazione neuronale. I livelli periferici di IL-1β correlano con la gravità dei sintomi positivi e negativi e con la presentazione psicopatologica complessiva.

L’interluchina 6 (IL-6) è una delle citochine più studiate nella ricerca sulla schizofrenia, ed è prodotta da macrofagi, monociti e microglia. La sua secrezione è indotta da IL-1β, interferoni, fattore di necrosi tumorale-α (TNF-α), lipopolisaccaridi e infezioni virali. L'IL-6 aumenta la sintesi di proteine della fase acuta, tra cui la proteina C-reattiva (CRP), che può influenzare la proliferazione della microglia. Le variazioni dei livelli di IL-6 possono interrompere la neurogenesi e ridurre la ricaptazione del glutammato. Il recettore solubile dell'IL-6 (sIL-6R) può legarsi a questa citochina, aumentandone ulteriormente l'attività biologica. Due meta-analisi di Miller e colleghi e Goldsmith e collaboratori hanno mostrato una riduzione dei livelli periferici di IL-6 in risposta agli antipsicotici senza una stratificazione per farmaci specifici o popolazioni di pazienti.

Esiste una correlazione positiva tra la concentrazione di IL-6 nel sangue e i sintomi negativi e positivi, nonché la presentazione psicopatologica complessiva e i deficit cognitivi.

L’Interluchina (IL-10) è una delle citochine antinfiammatorie primarie secreta soprattutto dai linfociti T (Treg), Th2 e B regolatori attivati. Riduce la produzione di specie reattive dell'ossigeno e contribuisce a ridurre lo stress ossidativo. Riduce inoltre la secrezione di IFN-γ e IL-2 da parte dei linfociti Th1 e di citochine pro-infiammatorie da parte dei macrofagi. È stata trovata una correlazione positiva tra i livelli periferici di IL-10 e la gravità dei sintomi negativi, la presentazione psicopatologica generale, i deficit di attenzione e l'incidenza di comportamenti aggressivi, e una correlazione negativa con i deficit cognitivi.

Le meta-analisi disponibili, in cui non è stata applicata alcuna stratificazione per trattamento o popolazione di pazienti, non suggeriscono alcun effetto dei farmaci antipsicotici sui livelli periferici di IL-10.

L’infiammazione nel disturbo bipolare

Il disturbo bipolare (BD) è un disturbo caratterizzato da ricorrenti alternanze di episodi dell’umore, che comprendono gli episodi ipomaniacali (caratteristici del Bipolare II), maniacali (che identificano il Bipolare I) e depressivi (obbligatoriamente presenti nel BD-II, spesso – ma non per forza – presenti nel BD-I), occasionalmente intervallati da episodi di umore stabile – o eutimia. Sempre più studi, che hanno analizzato sia il disturbo nel suo complesso sia i singoli episodi dell’umore, indicano un ruolo dell’infiammazione anche all’interno di questo disturbo.

Ad esempio, Solmi e colleghi hanno dimostrato con la loro meta-analisi che indicatori pro-infiammatori come la proteina c-reattiva (CRP), l’interleuchina IL-6 e il fattore di necrosi tumorale alpha (TNF-α) sono più elevate nei soggetti bipolari durante un episodio dell’umore rispetto a soggetti sani, e l’interleuchina IL-6 rimane significativamente più elevata nei soggetti bipolari persino nei periodi di umore stabile. Ciò potrebbe essere legato al fatto che lo stress e l’ansia sono fattori che hanno un elevato impatto nel disturbo bipolare, data la stretta relazione tra il sistema immunitario e i sistemi di regolazione dello stress come l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Questi dati sono in linea con altre revisioni della letteratura, che hanno riscontrato come marcatori più elevati nei soggetti bipolari sono CRP, IL-6, sTNF-R1 (un recettore per il TNF- α) e TNF-α, parallelamente a una ridotta secrezione di cortisolo (dato che, per esempio, è in linea con la letteratura sul disturbo da stress post-traumatico). Di conseguenza, i pazienti affetti da BD-I mostrano una risposta immunomodulatoria cortisolo-dipendente attenuata agli stimoli stressanti conseguendo ad un aumento di cellule T pro-infiammatorie e alla diminuzione delle cellule T regolatorie anti-infiammatorie. Inoltre, nei soggetti BD in fase maniacale è stata rilevata una diminuzione di cellule natural killer (NK) e un aumento di IL-6, IL-2 e IL-4, IL-1RA (recettore antagonista per l’interleuchina-1), mentre negli stati depressivi è stato rilevato l’aumento dell’IL-4 e una diminuzione dell’IL-1β e dell’IL-6. Infine nei pazienti eutimici solo IL-4 è risultato in aumento. In tutte le fasi sono stati rilevati aumenti di sIL-2R, sIL-6R, CRP, sTNF-R1, recettore della p-selectina e proteina chemiotattica dei monociti-1 (MCP1).

Ormai è sempre più noto come l’infiammazione possa influenzare le strutture cerebrali e avere un effetto sempre più negativo con l’avanzamento della malattia, ragion per cui il rilevamento di alti livelli infiammatori nel disturbo bipolare è di notevole rilevanza clinica.

L’infiammazione nei disturbi depressivi

L'aumento dell'infiammazione periferica è stato costantemente riportato in pazienti con disturbo depressivo maggiore (MDD), un disturbo mentale caratterizzato dalla persistenza, per almeno 2 settimane, di caratteristiche quali umore deflesso e anedonia. Ad esempio, una recente meta-analisi di Enache e colleghi ha riscontrato nel liquido cerebrospinale di pazienti depressi livelli molto più alti di IL-6 e di TNF-α rispetto ai controlli sani; inoltre erano maggiori, all’interno della corteccia cingolata anteriore e nella corteccia temporale dei pazienti con MDD rispetto al gruppo di controllo, anche i livelli di proteina Translocatrice, un marcatore della presenza di infiammazione centrale usato negli studi di neuroimmagine. Inoltre, in uno studio longitudinale di Boufidou e colleghi su donne incinte, è stato riscontrato che vi erano alti livelli di IL-6 e TNF-α nel CSF al momento del parto, e che questi erano positivamente associati alla comparsa di sintomi depressivi post-partum a 4 giorni e 6 settimane dopo il parto.

Questi dati suggeriscono la presenza di neuroinfiammazione nei pazienti con MDD, caratterizzata essenzialmente da un aumento dei livelli di citochine pro-infiammatorie nel CSF, una maggiore attivazione della microglia e una diminuzione della densità di astrociti e oligodendrociti della corteccia prefrontale (PFC). Tutto questo può contribuire all’alterazione della comunicazione tra il sistema immunitario e il sistema nervoso centrale e alle alterazioni della via della chinurenina e della funzione glutammatergica, portando a compromissioni dell'integrità della barriera ematoencefalica e a una conseguente cascata di effetti negativi sull’integrità strutturale e funzionale del cervello, che includono alterazioni nella connettività tra le varie aree cerebrali, assottigliamento corticale e difetti nel problem-solving.

L’infiammazione nei disturbi dello spettro ossessivo-compulsivo

Non sono molti gli studi che cercano di scoprire se esiste una correlazione fra l’infiammazione immunitaria ed il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC). Una recente meta-analisi, però, ha confrontato il sistema immunitario di un gruppo di soggetti sani, con uno di soggetti con diagnosi di DOC.

Malgrado lo studio abbia analizzato i livelli di diverse citochine (TNF-α, IL-6, IL-1β, IL-4, IL-10, ed interferone-γ), ovvero piccole molecole di natura proteica che dotano le cellule di alcune precise istruzioni, secondo la medesima ricerca non sono stati riscontrati risultati significativi per poter riuscire a correlare l’infiammazione immunitaria con il Disturbo Ossessivo Compulsivo. Nonostante ciò, gli studi che in futuro cercheranno di scoprire questa possibile correlazione dovrebbero prendere in considerazione alcuni fattori confondenti, come la presenza di disturbi mentali in comorbidità (ad esempio la depressione), l’uso di farmaci, e l’utilizzo o meno di tabacco. In conclusione, anche se il presunto ruolo delle infiammazioni immunitarie nella fisiopatologia del DOC è stato compreso, questa meta-analisi indica che deve ancora essere stabilita l’associazione fra questi due elementi.

Sulla stessa scia, uno studio longitudinale più recente ha messo in correlazione il cambiamento neurale e neurochimico in pazienti con DOC a seguito della psicoterapia. Dopo 2-3 mesi di psicoterapia ospedaliera, i sintomi dei pazienti erano significativamente diminuiti, così come sono state rilevate significative riduzioni dell’attività della corteccia cingolata anteriore, del precuneo e del putamen, la cui iperattività patologica è legata alla diagnosi di DOC. Tuttavia, non hanno rilevato alcun cambiamento a livello neurochimico (ovvero, nelle concentrazioni di cortisolo, serotonina, dopamina e nei parametri immunologici come la IL-6, la IL-10 e il TNF-α). Ulteriori ricerche sono necessarie per acquisire una comprensione delle complesse interazioni tra i diversi livelli del disturbo.

Uno studio ancora più recente ha indagato l’espressione genetica dei monociti periferici in pazienti pediatrici con DOC, confrontandoli con controlli sani. I ricercatori hanno esaminato l'espressione genica dei monociti periferici dei partecipanti, in condizioni normali e sotto esposizione al lipopolisaccaride (LPS), col fine di stimolare una risposta immunitaria. Nonostante non siano state osservate differenze significative tra il gruppo di controllo e quello sperimentale, sono state osservate elevate correlazioni tra l’espressione di alcuni geni ed i marcatori infiammatori. I risultati forniscono ulteriori prove del coinvolgimento della disregolazione dei monociti nel Disturbo Ossessivo Compulsivo ad esordio precoce, indicando una predisposizione pro-infiammatoria e una risposta immunitaria migliorata grazie all’ambiente in cui si trova il soggetto.

In conclusione, i risultati ottenuti dalle varie ricerche aprono uno spiraglio sulla correlazione fra il sistema immunitario ed il Disturbo Ossessivo Compulsivo. In futuro si dovrà scoprire il ruolo che il nostro sistema immunitario ha come fatto predisponente o precipitante la malattia.

L’infiammazione post-traumatica: disturbi trauma-correlati, disturbi dissociativi e disturbi da sintomi somatici

L’esposizione a un evento traumatico, di per sé, ha devastanti conseguenze a livello cerebrale da molti punti di vista. Tra le sue principali conseguenze è riscontrabile uno stato pro-infiammatorio cronico, cruciale in particolar modo nei pazienti con diagnosi di Disturbo da Stress Post-Traumatico (DSPT), una delle più gravi sequele psicopatologiche dell’esposizione a un evento traumatico sia in età adulta sia in infanzia. Infatti, recenti meta-analisi dimostrano uno stato pro-infiammatorio cronico negli individui con questa diagnosi che potrebbe oltretutto avere un ruolo causale nell’insorgenza del disturbo. Ad esempio, Yang e Jiang hanno rilevato maggiori livelli di IFN-γ, TNF-α e CRP nei pazienti con DSPT, anche confrontati con controlli esposti a traumi. Questi dati concordano con quanto riscontrato da Peruzzolo e colleghi, che hanno rilevato maggiori livelli di CRP, TNF-α e IL-6 (la quale era risultata alta anche nell’analisi di Yang e Jiang, ma non in modo significativo nei successivi confronti con controlli sani ma esposti a traumi) nei pazienti con DSPT rispetto a controlli sani. Tale stato infiammatorio cronico, inoltre, tra le molteplici alterazioni fisiologiche implicate nel DSPT, potrebbe essere uno dei fattori in grado di spiegare la riduzione del volume corticale in aree cerebrali critiche (come amigdala, ippocampo e corteccia prefrontale) e le alterazioni di connettività funzionale riscontrate nei pazienti con questa diagnosi, che a loro volta si pensa siano alla base dei deficit di regolazione emotiva e di problem-solving tipici di questo disturbo. Questi aspetti immunitari e neurodegenerativi, oltretutto, potrebbero contribuire a spiegare l’elevato tasso di comportamenti suicidari nei pazienti con DSPT e in generale negli individui esposti a traumi, soprattutto in età infantile.

Un altro esempio di disturbi psichiatrici strettamente legati a esperienze traumatiche è costituito dai Disturbi Dissociativi o disturbi da sintomi somatici come il Disturbo da Sintomi Neurologici Funzionali, implicato dalla letteratura tra le possibili patologie legate a eventi di vita fortemente stressanti. Indicazioni di squilibri immunitari sono presenti anche in questi disturbi; tuttavia, gli studi sono ancora troppo pochi per considerare questi dati conclusivi.

L’infiammazione nei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione

I “Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione” (DNA) si contraddistinguono per un duraturo disturbo dell’alimentazione o comportamenti riguardanti l’alimentazione, che hanno come risultato un consumo o assorbimento irregolare di cibo e una compromissione della salute fisica e del funzionamento psicosociale, e comprendono disturbi quali Anoressia Nervosa (AN) e Bulimia Nervosa (BN).

Negli ultimi due decenni, diverse revisioni hanno considerato il ruolo delle citochine nei Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione.

Più recentemente, una meta-analisi ha mostrato concentrazioni circolanti di citochine pro-infiammatorie TNF-α, IL-1β e IL-6 elevate nelle persone con AN, rispetto ai controlli sani (HCs) e la concentrazione di queste citochine non cambiava con l'aumento di peso. Tuttavia, se le prime ricerche sull’infiammazione nei DNA davano risultati contrastanti e vaghi e le informazioni sono ultimamente state sistematicamente raccolte nella meta-analisi di Dalton e colleghi, che va ad investigare la concentrazione di citochine in tutti i DNA.

Come è stato dimostrato già da tempo, le citochine sono alterate in persone con DNA rispetto agli individui sani e queste sono di particolare interesse nelle patologie alimentari poiché gli studi di associazione sul genoma hanno identificato il primo locus significativo a livello genomico associato all’AN che è strettamente legato al funzionamento immunitario e alla segnalazione delle citochine. Le citochine giocano un ruolo importante sia nella funzione del sistema immunitario che nello sviluppo e nella funzione del cervello, e di conseguenza negli stati mentali e nel comportamento. Esse sono state implicate nei DNA proprio a causa del loro ruolo nella salute psicologica, nel peso corporeo e regolazione dell'appetito. Per esempio, è stato dimostrato che i livelli plasmatici della citochina pro-infiammatoria IL6 sono correlati positivamente all'indice di massa corporea (IMC). Inoltre, come affermato in precedenza, le citochine sono coinvolte nella regolazione dell'assunzione di cibo e dell'appetito, il che può essere dovuto a interazioni con segnali oressigeno e anoressigeno.

Dato il coinvolgimento delle citochine nella salute psicologica, il peso e la regolazione del comportamento alimentare e appetito, questo fornisce un motivo per considerare il ruolo delle citochine nei DNA.

In conclusione, dall’ultima meta-analisi di Dalton e colleghi, emerge che TNF-α e IL-6 erano elevate nei partecipanti con DNA rispetto ai controlli sani (HC). In particolare, questo modello è stato visto solo quando si confrontano i partecipanti con AN con HCs. Le concentrazioni di queste citochine però non differiscono tra le persone con BN e HCs. IL-1β e TGF-β non differiva tra HCs e qualsiasi gruppo con DNA. Pertanto, l’AN sembra essere associata a concentrazioni elevate di TNF-α e IL-6.

Considerando il ruolo delle citochine nell'appetito, nella regolazione dell'umore e nell'ansia, queste pro-infiammatorie citochine potrebbero essere un potenziale bersaglio per un futuro farmaco per aiutare le persone con AN, non solo con l'aumento di peso, ma anche con vari problemi psicologici coesistenti.

L’infiammazione nei disturbi neurocognitivi

I Disturbi Neurocognitivi sono un insieme di disturbi (tra cui, ad es., morbo di Alzheimer (AD), morbo di Parkinson e malattia di Huntington) primariamente caratterizzati da un declino in diverse capacità cognitive (ad es., attenzione, memoria) prima presenti. L’eziologia e la patologia sottostante, diversamente da tutti gli altri disturbi mentali, in questo caso sono solitamente identificabili e permettono di distinguere la specifica diagnosi. Negli anni recenti sta risultando sempre più rilevante il ruolo dell’infiammazione all’interno di questi disturbi, ruolo che certi studi identificano anche come probabilmente causale. Ad esempio, una recente revisione sistematica ha identificato mutazioni nelle proteine regolatrici del complemento in studi genetici sull’Alzheimer. Inoltre, lo stesso studio nota un aumento della concentrazione di clusterina nel fluido cerebrospinale (CSF) ed un aumento meno consistente di concentrazione di C3 nel liquor di pazienti con Alzheimer rispetto ai soggetti senza, come le concentrazioni di proteine del complemento nel liquido cerebrospinale CSF o nel sangue periferico tra pazienti con AD e soggetti sani confermano. Complessivamente, è stata identificata una attività più elevata del complemento nelle persone con Alzheimer rispetto ai controlli sani, dato in linea con le rilevazioni di uno stato pro-infiammatorio sistemico in pazienti con Alzheimer di un'altra meta-analisi. Tuttavia, la ricerca è caratterizzata da ampia eterogeneità, quindi è ancora difficile ricavare dei risultati conclusivi.

L’infiammazione nel rischio suicidario

Sempre più autori stanno sostenendo il ruolo del rischio suicidario come un quadro psicologico a sé stante e trasversale a ogni diagnosi psichiatrica, in quanto sembra essere caratterizzato da fattori causali e patogenetici distinti da quelli delle diagnosi a cui è tipicamente associato, come la depressione o il disturbo borderline di personalità. Tra questi, risultano di primaria importanza gli indici infiammatori (sia periferici come la CRP, interleuchine e TNF-α, sia centrali come quelli relativi all’attività della microglia), che risultano elevati negli individui suicidari anche tenendo conto della presenza di depressione e sembrano strettamente connessi alle alterazioni strutturali e funzionali del cervello e di conseguenza ai problemi nel problem-solving e nelle capacità di auto-regolazione emotiva degli individui a rischio di suicidio.

Bibliografia

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